Omelia in occasione della XIX Assemblea nazionale elettiva della Fisc

Roma - Cappella della Casa Generalizia delle Suore di N. Signora della Carità del Buon Pastore

In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà casa di preghiera”. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.

Cari amici, son particolarmente contento di essere tra voi e di celebrare con voi e per voi questa Eucaristia. In voi vedo rappresentate le Chiese del nostro Paese; quelle Chiese che costituiscono davvero una tenda piantata nella città degli uomini. Tenda aperta, disponibile, fraterna; tenda che raccoglie e rilancia le attese, le sofferenze e le speranze della gente, anche con il coraggio di andare controcorrente, quando questo significa stare dalla parte dell’uomo, del povero innanzitutto.
 Il Vangelo odierno mi suscita due spunti, che affido con semplicità alla vostra riflessione.
Il primo mi nasce da quel “Sta scritto”… Il rinvio è alla Scrittura, radice e riferimento dl rapporto con Dio e criterio su cui costruire l’esistenza e le relazioni nella comunità. “Sta scritto”… E cosa c’è scritto oggi sui nostri settimanali? E, soprattutto, con quale sguardo e con quale linguaggio?
Ho presente per conoscenza diretta il contributo essenziale assicurato dai settimanali alla promozione e all’inclusione nella storia di questo nostro Paese. La nostra casa – per tornare all’immagine evangelica – non può che essere costruita attraverso un linguaggio puro e purificato, che sa farsi accoglienza e incontro. La questione del linguaggio è stata da subito determinante nella storia della Fisc e di estrema credibilità. Ricordo quanto scriveva Giovanni Fallani, primo direttore del SIR e per anni segretario della vostra Fisc: «Avevamo messo in programma un ambizioso piano di ripulitura del linguaggio, forse nemmeno rendendoci conto di quanto fosse arduo. […] Si trattava di trovare il modo di dire il concetto con meno parole difficili possibili».
Attualmente, i riferimenti più diffusi, anche nei media, sono l’apparire, il consumare, l’acquistare. La stessa informazione viene spesso vista solo come un prodotto da vendere. La conseguenza peggiore di tale mentalità è il progressivo svuotamento di significato di molte parole appartenenti al vocabolario della vita, della fede, della Chiesa. Le parole, quando sono appesantite da chi ama più raccontare il proprio «ego» che raccontare l’«altro», rendono difficile la comprensione del messaggio, non consentono la formazione di una corretta opinione pubblica e, nell’informazione religiosa, non riescono a comunicare appieno la vita ecclesiale e civile delle nostre comunità. Da questa deriva si è consolidato e diffuso un analfabetismo, che impoverisce tutto e tutti. Come uscirne? Proprio l’esperienza secolare dei settimanali diocesani indica che l’antidoto sta nella ricerca di un linguaggio che consenta al messaggio di essere comprensibile e di “insegnare”.
L’altro spunto mi viene dall’ascolto. “Tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo”.​ Scrivono i vescovi italiani nel Documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia: «A volte abbiamo paura di fermarci per ricordare, per ripensare a ciò che abbiamo vissuto e ricevuto. […] Eppure sono l’ascolto, la memoria e il pensare a dischiudere il futuro, ad aiutarci a vivere il presente non solo come tempo del soddisfacimento dei bisogni, ma anche come luogo dell’attesa, del manifestarsi di desideri che ci precedono e ci conducono oltre, legandoci agli altri uomini e rendendoci tutti compagni nel meraviglioso e misterioso viaggio che è la vita». (n.2).
L’ascolto è una caratteristica essenziale – vorrei dire, è l’inchiostro – dei settimanali. Non un ascolto passivo o distratto, ma attivo e accogliente. Ascolto del territorio, ben oltre la pura cronaca. Ascolto delle persone, delle comunità. Del tempo che viviamo, che rischia di non avere più interpreti autorevoli, punti di riferimento in grado di decifrarlo e orientarlo. L’ascolto è un atto necessario allo svolgersi della comunicazione e prevede, anzitutto, il silenzio, condizione indispensabile per ricevere ogni parola pronunciata e coglierne il significato. L’ascolto è anche essenziale per riscoprire la bellezza di un’appartenenza, di far parte di una comunità, di una Federazione. Sappiate ascoltarvi con umiltà e pazienza; tendete a costruire reti di condivisione all’insegna della stima e della valorizzazione reciproca; guardate più in là dell’immediato, lasciandovi illuminare da quella Sapienza che – mentre aiuta a leggere il presente – sostiene nelle difficoltà e nella fatica, dando ali d’aquila al vostro servizio. È il mio augurio, è l’augurio della Segreteria generale della CEI e degli stessi vostri Vescovi.

S. Em. Card. Gualtiero Bassetti

22 Novembre 2019

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