» Chiesa Cattolica Italiana » Documenti »  Documentazione
Introduzione al Consiglio Episcopale Permanente – sessione 22-24 gennaio 2024


Vescovi e cristiani, mentre invece sento tanto viva la comunione tra Vescovi e popolo e questo vale più dei like dei social. Ci sono stati anni difficili anche in passato per le Chiese in Italia. Dopo il Vaticano II, quando la comunità pareva spezzarsi nella contrapposizione tra gruppi, Vescovi e contestazione, la Chiesa praticò con fiducia una comunione inclusiva nell’ascolto mutuo. Iniziò il card. Poletti, Vicario di Roma, grande pastore, con un convegno sulle attese di carità e giustizia a Roma, chiamando in assemblea i romani nel febbraio 1974, proprio cinquant’anni fa. Fu un grande concorso di popolo. Il Vicario pose i cristiani di fronte alla povertà di Roma. Un gesto di sapienza pastorale e un messaggio: invece di dividervi e ignorarvi, parlate (e si tennero affollate assemblee di fedeli in cui tutti potevano prendere la parola), ma soprattutto ascoltate il grido dei poveri e delle periferie! Ci si preparava al Giubileo del 1975, che molti sconsigliavano di indire, considerandolo trionfalistico, ma che Paolo VI volle e fu un grande evento di fede. Furono i primordi di un coraggioso metodo sinodale, seguito poi nel Convegno nazionale del 1976, il primo, “Evangelizzazione e Promozione Umana”, preparato da un documento curato dal segretario CEI, il Servo di Dio Enrico Bartoletti, che enunciava la forte affermazione: «Non sembra, perciò, eccessivo dire che l’Italia è un Paese da evangelizzare». Tale visione ha ispirato anni di programmi, azioni, scelte pastorali, nonostante il senso di crisi e di sconcerto di allora. Ricordo quei momenti difficili, che ho vissuto un poco quand’ero giovane e, oggi, comprendo come illuminati Pastori, a partire da San Paolo VI, non ebbero timore di predicare il Vangelo, di far parlare, di ascoltare, di convocare, consapevoli di essere un unico popolo di Dio, che aveva e ha una missione in Italia. Quei Vescovi ebbero coraggio, perché, in quegli anni, si scriveva che il cristianesimo stava per finire. Nello smarrimento, c’era contrapposizione di ricette per il futuro e forte incomunicabilità. Quei Vescovi, la cui memoria è benedizione, ebbero fiducia nello Spirito che anima, raccoglie, ispira la Chiesa. Pastori, in comunione con il Papa, sentirono di dover camminare avanti nella comunione, convinti della missione delle Chiese in Italia e della Chiesa italiana nel mondo. Ascoltarono e vollero che i cristiani parlassero. Progressivamente, con San Giovanni Paolo II, il popolo cristiano sentì che c’era futuro per la missione della Chiesa. Non dimentichiamo la storia! Siamo in un tempo in cui si cancellano passato e tradizione, quasi quanto è avvenuto prima di noi sia sbagliato o irrilevante; invece la storia, di cui siamo eredi, ci conforta.
Forza nella debolezza
Le crisi presentano una Chiesa infragilita. Non ci spaventino fragilità e piccolezza! Non sono solo indici problematici, ma anche la quotidiana realtà in cui la Chiesa da sempre vive. Il profeta Samuele, ascoltando il Signore, va alla ricerca di chi è destinato alla missione regale nella famiglia di Iesse: incontra ben sette suoi figli. Nessuno è il prescelto. «Non guardare al suo aspetto né all’imponenza della sua statura: io l’ho scartato perché non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda all’apparenza, il Signore guarda al cuore» (1 Sam 16,7), disse il Signore sui candidati migliori. Restava Davide, piccolo, improponibile tanto che l’avevano lasciato con le greggi in campagna: «Alzati e ungilo: è lui!», dice il Signore a Samuele (ivi, 13). Era piccolo, ma con begli occhi e di gentile aspetto. Giovanni Crisostomo riflette su Davide, sulla sua piccolezza e bellezza, in rapporto a re Saul, aggressivo e potente. Davide non considera Saul un nemico, eppure lo è. Crisostomo esalta Davide: la sua forza è la mitezza e la benignità. Scrive, parlando di Davide come modello di mitezza: «Nulla è più potente della benignità». Il genio di Davide è, per Crisostomo, cercare di aver la meglio sulla crudeltà del nemico con mitezza e benignità. Davide, fragile, diventa l’uomo della parola e della benignità, il cantore e l’uomo della preghiera. Così lo vede Crisostomo. La debolezza di Davide è un approccio, diverso da quello comune, forte e arrogante, tipico di Saul. Del resto, l’apostolo Paolo, in una stagione di grande vitalità missionaria e passione evangelizzatrice, afferma: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12,9). La debolezza è la nostra forza, ma dobbiamo usarla con intelligenza e libertà. Partire dalla debolezza, partire da Colui che è stato crocifisso, fa sì che la carità, la mitezza, la benignità siano la cifra delle nostre relazioni e delle nostre azioni, in una società in cui invece la cifra dei rapporti è l’interesse o si esprime nella conflittualità. Papa Benedetto XVI l’ha insegnato nell’enciclica Deus Caritas est: «Amore di Dio e amore del prossimo si fondono insieme: nel più piccolo incontriamo Gesù stesso e in Gesù incontriamo Dio». Con la carità, «la forza del cristianesimo – aggiunge il Papa – si espande ben oltre le frontiere della fede cristiana». Nonostante le letture pessimistiche o politiche sulla Chiesa, ben oltre le frontiere del popolo di Dio ci si accorge della forza della carità, della limpidezza attrattiva della predicazione del Vangelo, che è comunicare Gesù, della preghiera rasserenante pure in momenti dolorosi, della disponibilità dei cristiani e dei sacerdoti a tutti senza preclusione. Questa è una realtà viva nella società italiana. Questa visione ci sostiene di fronte ai problemi quotidiani, che non possono essere il nostro orizzonte. Il nostro non è un pessimismo di una vecchia istituzione, ma il sentimento di Nicodemo, che comprende dalla parola di Gesù che vuol dire rinascere dall’alto. La questione sociale è sempre anche una questione morale e – oserei dire – spirituale. Nella nostra società si assiste a una divaricazione sempre più ampia tra chi è povero e chi è benestante, le disuguaglianze sono aumentate e c’è come una cronicizzazione della povertà. Lo si nota dall’accesso ai beni fondamentali come il cibo, i servizi sanitari e le medicine, l’istruzione soprattutto quella superiore. Il malessere dei poveri, che crea sacche di pericolosa depressione, deriva anche dalla consapevolezza che non c’è più un ascensore sociale che consenta di sognare un miglioramento. Consentire a tutti pari opportunità significa anche operare per eliminare la disuguaglianza di genere: non è ammissibile che le donne mediamente guadagnino meno degli uomini per le medesime mansioni. In generale, esiste nel nostro Paese un problema di riconoscimento della dignità delle persone e del loro lavoro, mal retribuito a causa di contratti precari e di lavoratori sfruttati. Se vogliamo essere profeti di speranza nella nostra terra dobbiamo assumere il peso delle sofferenze degli ultimi, aiutando, nel vicendevole rispetto dei ruoli ma anche nella necessaria collaborazione, anche chi governa a riconoscere le priorità nelle decisioni che riguardano il bene di tutti.
A sostegno dell’educazione scolastica
Della vicenda di Samuele riprendo ancora un’ultima immagine. Quella di lui ancora giovinetto, che vive presso il santuario di Silo dove riceve un’istruzione religiosa e sicuramente anche umana dal sacerdote Eli. Il Primo libro di Samuele dà ampio rilievo a questo tempo di formazione, che si conclude con questa affermazione: «Samuele crebbe e il Signore fu con lui» (1Sam 3,19). Non credo che sottolineeremo mai abbastanza l’importanza di una formazione integrale della persona, sin dalla più tenera età, che tenga conto della storia della nostra cultura segnata dal fattore religioso e apra la mente e il cuore al trascendente. È in questo quadro di riferimento che saluto con piacere la firma lo scorso 9 gennaio dell’accordo tra CEI e Ministero dell’Istruzione e del Merito per il prossimo concorso degli Insegnanti di Religione Cattolica. Questi insegnanti – la stragrande maggioranza dei quali sono laici – comunicano a scuola i valori dell’Umanesimo cristiano. Sono i formatori delle prossime generazioni. A loro il compito ecclesiale e civile di educare alla pace, di educare alla legalità, di educare alla cultura, mostrando come il Cristianesimo ha contribuito a fondare i valori di libertà e rispetto dell’altro, che sono alla base della nostra società. L’attenzione verso le nuove generazioni è un tema cruciale per il futuro della Chiesa e della società. I giovani sono il presente delle nostre comunità. È un tema al centro del Cammino sinodale su cui avremo modo di tornare in futuro.
Conclusione
Ho voluto aprire questa nostra riunione con alcune riflessioni, perché credo che dallo scambio di opinioni, sentimenti ed esperienze può maturare una visione più aperta alla speranza della nostra realtà. Non ho da insegnare, ma credo che il comune discorso debba partire da un punto, sicuramente per superarlo. Lo scambio è un anello della struttura di comunione della CEI, che andrà rivisitato nel decisivo Cammino sinodale, per un suo migliore funzionamento che consideri anche lo snodo decisivo delle Conferenze regionali e delle Commissioni episcopali. Di fronte al popolo italiano, alle istituzioni locali o nazionali, alle componenti della vita culturale, sociale e politica, la Chiesa si presenta qual è, senza alterigia, ma consapevole di avere una missione unica. Faccio mie le parole di un sacerdote romano, don Andrea Santoro, ucciso mentre pregava a Trebisonda, in Turchia, nel 2006: «La via più alta della superiorità è quella dell’amore e della giustizia che si china sul diritto e sul bisogno dell’altro, che non si lascia vincere dal male, ma vince il male con il bene, che si apre al perdono perché non vuole giudicare ma salvare, che non ha altro motivo di vanto se non nella gioia e nella vita dell’altro».